Il grande scrittore Castaneda, un peruviano che viveva in America od altro, aveva scritto dei libri su un santone, una specie di mago indios curioso. Castaneda accenna al fatto che voleva indicare la diversità che vi può essere tra il guardare e il vedere.
Ora io ho letto ma non mi ricordo neanche le sue cose molto interessanti. Erano scritti che riguardavano di più una costruzione interna di un viaggio di una persona.
No, io sto parlando a degli sceneggiatori, a dei registi e dico: Per spiegarvi bene la differenza che c’è tra il guardare e il vedere vi racconto quello che mi è successo dieci giorni fa quando ero a Pennabilli. Con la signora Ronconi (la signora che spesso con me fa delle fontane o altro) venivo giù dal giardino pietrificato da Bassio quando sul lato sinistro della macchina vedo, vicino alla strada, una panchina verde.
Siccome sapevo che era una panchina di ferro ora mi sto chiedendo: “Perché verde?”
Comunque faccio fermare, scendo e vado vicino a questa panchina.
In questo momento, prima ho guardato, adesso sto vedendo. Cioè vado in profondità , comincio a vedere che questa panchina, vicino ad una strada, era abbandonata. Nessuno più si sedeva su di lei.
Mi pare che prima, davanti ad essa, ci fosse una trattoria o qualche cosa. Forse i vecchi si fermavano per vedere le macchine.
Cosa è diventata verde perché il muschio piano piano l’ha coperta.
Quindi capirla, vederla era capire la sua solitudine, la sua inutilità.
Allora che cosa faccio?
Mi siedo sulla panchina per renderla utile, per dirle: “Guarda servi ancora.”
Questo per me era un gesto, un modo per poter spiegare quello che io cerco o che qualsiasi sceneggiatore e regista dovrebbe cercare per arrivare al fondo di una cosa.
Un altro esempio.
Ero a Mosca quando mi è venuto a trovare un regista di documentari. Una persona sui cinquantacinque/sessanta anni con una barba molto leggera, con umiltà negli occhi, veramente dolce da incontrare.
Piccolo cappello. Io ho un debole per i vecchi credenti. Nel cinquecento il patriarca Nikon ha voluto mettere a posto i gesti religiosi degli ortodossi che si erano allontanati un pochino dai greci e dai veri primi riti religiosi.
Però molti russi, sia attorno a Mosca sia fino alla Siberia, hanno mantenuto tanti movimenti (ad esempio fanno tre volte il segno della croce) e vecchie credenze e per questo si chiamano i vecchi credenti.
Loro però sono ormai dispersi nella Siberia. Probabilmente fino al settecento non avevano neanche il vescovo perché erano proprio allontanati da tutti.
Quando ho visto le prime immagini, mi piacevano molto, di questo giovane regista ho notato che erano piene di vita. Le figure dei vecchi credenti erano piene di fughe, cioè corpi che avevano preso vento. Si erano riempiti di spavento, con queste barbe stupende leggere ed io guardavo soltanto.
Come questo regista è andato via ho cominciato a capire che stavo vedendo ed infatti ho scritto su questo libretto che porto con me queste parole: “Figure che sono già una preghiera.”
In questa frase, in queste parole ho capito che andavo in profondità.
Biografia
Tonino Guerra, poeta e sceneggiatore di fama internazionale, nasce a Santarcangelo di Romagna il 16 Marzo del 1920.
Nei primi anni ’50 si trasferisce a Roma dove prende avvio la sua folgorante carriera di sceneggiatore.
Resta nella capitale fino al 1984 quando fa ritorno in Romagna. Dopo un breve periodo trascorso nella sua città natale sceglie come dimora Pennabilli, nel Montefeltro.
Inizia a comporre versi in lingua romagnola durante la prigionia nel campo di concentramento di Troisdorf in Germania, parte di quelle poesie in lingua romagnola vengono raccolte nel primo libro “I scarabocchi” del 1946, a firma Antonio Guerra con la prefazione di Carlo Bo. Segue la raccolta “I bu”, con introduzione di Gianfranco Contini, che segna una svolta nella poesia italiana e lo proietta tra i grandi della poesia. Nella collana “I Gettoni” di Einaudi curata da Elio Vittorini, pubblica nel ’52 il racconto “La storia di Fortunato”. Le sue prime sceneggiature nascono per i film “Un ettaro di cielo”, di Aglauco Casadio che uscirà nel 1957 e “Uomini e lupi”, di Giuseppe De Santis, che uscirà nel 1956.
Da quel momento si dedica con continuità all’attività di sceneggiatore e lavora con i più grandi registi del nostro tempo, tra questi Elio Petri, Franco Indovina, Vittorio De Sica, Damiano Damiani, Mauro Bolognini, Mario Monicelli, Franco Giraldi, Alberto Lattuada, Paolo e Vittorio Taviani, Marco Bellocchio, Francesco Rosi, Federico Fellini, Theo Anghelopulos, Andrej Tarkovskij, Michelangelo Antonioni. Con quest’ultimo firma nel ’59 “L’avventura” e inizia un sodalizio artistico che è continuato fino alla fine. Ultimo lavoro insieme è l’episodio “Il filo pericoloso delle cose” del film Eros presentato al Festival di Venezia nel 2004.
Nel 1973 esce “Amarcord”, vincitore del Premio Oscar, prima sceneggiatura scritta per Federico Fellini, con cui realizzerà anche “E la nave va” nell’83, “Ginger e Fred” nell’85. Ma con Fellini lavora anche alla preparazione delle sceneggiature di “Prova d’orchestra” e “Casanova”.
Le sue sceneggiature incontrano anche la televisione, che lo vede collaborare al teatro televisivo e ad alcuni sceneggiati. Intanto continua la sua attività poetica e letteraria che abbraccia anche il teatro: la sua produzione è vastissima, punteggiata dal conferimento di significativi premi, tra cui il Premio Pirandello.
La raccolta “I bu” (Rizzoli, 1972), curata da Gianfranco Contini, rappresenta la svolta per la poesia dialettale che assume grazie agli stilemi da lui introdotti grande dignità e la nuova dialettalità assurge a lingua della poesia senza più distinzioni nè categorizzazioni. Si apre con lui la nuova stagione dei neodialettali, che si congeda da ogni forma di municipalismo. Pubblica con Bompiani, con Rizzoli e dà avvio con “Il miele”, nel 1981, alla stagione dei poemi pubblicati dalla Maggioli Editore di Santarcangelo, che ristampa anche le sue precedenti raccolte e i racconti.
E’ artista a tutto tondo e si dedica alla pittura, alla scultura e all’ideazione artistica realizzando allestimenti, installazioni, mostre, parchi, fontane, in cui trasferisce la sua sconfinata creatività e genialità. Coronano la sua feconda carriera, carica di tanti prestigiosi riconoscimenti, il Premio De Sica e l’Oscar Europeo del Cinema conferitogli dall’European Film Academy, nel Dicembre del 2002. Nello stesso anno il Presidente della Repubblica lo nomina Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Viene più volte premiato per gli spot pubblicitari ideati in questi ultimi anni, imitatissimo il suo motto sull’ottimismo. Riceve nel novembre 2004 il riconoscimento quale Miglior sceneggiatore europeo, assegnatogli a Strasburgo, capitale della nuova Europa, dall’Unione sceneggiatori europei.
Nel 2010, in occasione dei suoi 90 anni, riceve il David di Donatello alla carriera. Il 10 novembre 2010 è stato insignito dall’Università di Bologna del Sigillum Magnum.
Muore all’età di 92 anni a Santarcangelo il 21 marzo 2012, in coincidenza con la celebrazione della Giornata Mondiale della Poesia istituita dall’Unesco. Le sue ceneri sono state incastonate nella roccia, al di sopra della sua Casa dei mandorli a Pennabilli, nel punto in cui si ammira la vallata, paese in cui ha abitato negli ultimi 25 anni e di cui ha detto “è il posto dove trovi te stesso!”.
A cura di Rita Giannini “Biografa ufficiale del Maestro Guerra”
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